domenica 3 marzo 2013

VINCERE E’ L’UNICA COSA CHE CONT..


La natura umana è da sempre condizionata da un qualcosa indipendente dalla propria volontà, l’esistenza dei limiti.
I limiti sono quel qualcosa che ci permettono di distinguere i semplici esseri umani dai fuoriclasse, quelli che i limiti non si limitano a riconoscerli, ma li affrontano con spavalderia e li superano. Hanno proprio una predisposizione naturale nel farlo, non c’è niente da fare. E non importa quanto “gli altri” provino ad emularli, non ci riusciranno mai.
C’è chi lo chiama “x-factor”,  io preferisco chiamarlo talento.
Applicando questa mia riflessione al mondo del calcio, il risultato è facilmente visibile. Ci sono calciatori in grado di vincere le partite da soli, quelli nati con un qualcosa di particolare che, coltivato a dovere nel tempo, li porta ad essere migliori degli altri. Dei ,volgarmente detti, gregari.  Quelli però senza i quali sarebbe impossibile riconoscere i fuoriclasse, appunto.
Ed ovviamente la stessa riflessione la si può applicare agli allenatori. Ognuno ha il proprio modo di intendere il calcio, ognuno ha il proprio schema di riferimento con il quale pensa di poter far giocare al meglio la propria squadra, ognuno ha il proprio modo di vivere le partite, ognuno ha il proprio modo di relazionarsi con i media e con i propri calciatori. Ma non tutti garantiscono il risultato finale.
Perché se esiste la figura dell’allenatore un motivo ci dovrà pur essere. Altrimenti prendiamo una squadra a caso, con uno sceicco che ha una disponibilità economica senza eguali, la imbottiamo di nomi altisonanti e la vittoria arriverà in automatico. Proprio come avvenuto per il City, dove a fronte di una spesa di centinaia di milioni di euro negli ultimi 5 anni i risultati sono stati a dir poco esaltanti: uno scudetto, una coppa di lega, una F.A Cup e ben due cocenti e clamorose eliminazioni dai gironi di Champions League nelle ultime due edizioni. E c’è chi continua a sostenere che il buon Mancini sia un buon allenatore!
Dicevamo, a qualcosa serviranno pur questi allenatori. Servono in quanto straordinari comunicatori e in quanto portatori di carica agonistica ai propri calciatori, oltre che di nozioni tattiche. Maestro in questo è senza dubbio Walter Mazzarri, autore di straordinarie annate nell’ultimo decennio del nostro campionato. Su tutte, l’indimenticabile salvezza della Reggina nel campionato post calciopoli, nonostante una clamorosa penalizzazione iniziale di 11 punti. Da ricordare senz’altro anche quello che è riuscito a fare negli ultimi 3 anni abbondanti a Napoli, piazza esigente, dove pian piano ha posto le basi con il suo 3-5-2 per la costruzione di una squadra che di anno in anno è cresciuta per ciò che concerne i risultati ottenuti. Apice lo è stata la stagione scorsa, con una sfortunata partecipazione alla Champions, interrotta dal Chelsea,poi vincitrice del torneo, dopo uno scontro francamente rocambolesco, e con la vittoria della Coppa Italia  scapito della Juventus.
Ma, come già accennato prima, la natura umana deve vivere con l’angoscia della presenza di questi limiti.
Che nel caso specifico dell’allenatore toscano è quello di non poter raggiungere più di quanto abbia fatto fino ad oggi. E la partita di ieri ne è la dimostrazione, non solo per quanto visto in campo con una squadra che, suscitando anche evidente malumore tra i propri sostenitori, negli ultimi 15 minuti preferiva non rischiar nulla e prendersi un punto piuttosto che rischiare di perderla o di vincerla. Ma anche per il modo di prendere questo pareggio, millantando supremazie oggettivamente discutibili della propria squadra anche in momenti nei quali era palese la difficoltà dei padroni di casa di reggere la pressione di una partita così importante.
Atteggiamento più di uno che ricerca consensi che di uno effettivamente convinto di quello che stesse dicendo. O meglio,modo di fare di una persona non abituata a gestire queste situazioni.
Perché ci sono allenatori che ottengono il massimo in squadre che lottano ogni anno fino all’ultima per non retrocedere in serie inferiori, quelli capaci di guidare squadre che pervengono con calma alla salvezza, quelli che riescono a portare la propria squadra in Europa.
E poi ci sono quelli che vincono. E non vincono per fortuna, sia chiaro.
Perché quella conta si, ma nel mondo (non solo quello del calcio) solo fino ad un certo punto. E lo si dimostra confermandosi. Sta tutto nella voglia di vittoria che uno ha dentro, voglia che dimostra dal primo minuto del primo allenamento settimanale fino all’ultimo secondo della conferenza stampa post partita.
Perché vincere può capitare a tutti, ma saper vincere è roba da pochi.
È per gente che  fa dell’abnegazione il proprio stile di vita, di gente che non ha paura di professare la propria filosofia anche se è alle prime armi in serie A, di gente che riesce ad ottenere il massimo da calciatori che in altri contesti hanno reso in modo “normale”, di gente che non ha paura di far giocare calciatori meno blasonati di altri anche in contesti importanti, di gente che riesce a sopperire a carenze tecniche nell’organico con il ricorso a clamorose iniezioni di carica e spirito di gruppo.
Perché, alla fine, ha sempre ragione lui.
Almeno da un anno e mezzo a questa parte.

Nessun commento:

Posta un commento