Una band simbolo di un’intera nazione.
Una band che, nonostante un
lungo black-out artistico di ben dieci anni, vanta una poltrona nell’olimpo
del rock con i suoi 42 milioni di dischi venduti.
Una composizione che si distanzia dal canonico country rock a cui
questa ci ha abituati.
Estratta da un album che, stando alle dichiarazioni del leader, sarebbe
uscito solo “quando si sarebbe ghiacciato l’inferno”.
Basta con i convenevoli:
Eagles - Get over it
Una chitarra solitaria e decisa apre la canzone creando un’atmosfera
di impalpabile tensione, che si incupisce con lo scorrere dei secondi; le
narici non riescono a catturare ossigeno a sufficienza; l’aria si fa ancora più
rarefatta mentre battiti di cuori valorosi ma terrorizzati pulsano nel petto.
Ad un tratto la sensazione di ansia è incanalata e trasformata in energia: la
stessa chitarra, prima timorosa, si incoraggia; muove i primi passi verso un
destino incerto al richiamo della batteria di Scott Crago, aggressiva e
spaccona. Ricorda un generale che, digrignando i denti, arringa grintoso i
propri soldati a non temere la morte perché chiunque va in battaglia è e sarà,
con o sullo lo scudo, un eroe. Sono suoni potenti quelle di Glenn Frey, che non
a caso accompagneranno il testo nel ritornello e nelle parti più intense
dell’opera.
La metafora del combattimento torna ancora utile per l’esegesi del testo:
se però, riguardo alla musica, è stata osservata da una prospettiva cruda e
realistica, nelle parole di Don Henley si percepisce una sottile satira che ha
ad oggetto il tema del vittimismo. L’autore, infatti, considera la vita una battaglia
matrice di insignificanti e sfortunati episodi ai quali si reagisce, non dando
loro il giusto peso, con il vittimismo (You’re making the most of your loosin’
steak/ Complain about the present and blame it on the past); ne biasima la
pochezza e la futilità; ed infine, non ancora soddisfatto, continua a criticarlo
considerandolo un puerile “lamento e pianto” (All this whinin’ and cryin’). A
testimonianza di quanto appena detto, troviamo nella prima strofa un “mucchio
di persone” lagnanti ed insoddisfatte del proprio fisico (Your momma’s too
thin; your daddy’s too fat); un tu nullafacente, ma nonostante ciò rammaricato
della propria condizione economico-sociale, nella seconda (You don’t want to
work, you want to live like a king/ But the big, bad world doesn’t owe you a
thing); ed infine un altro tu che addossa le proprie colpe alle trame del
tempo, presente e passato (Ain about the present and blame it on the past).
Alle uggiose esternazioni risponde la voce critica del cantante, la quale
incita i propri fittizi interlocutori a stringere i denti; a non lasciare la
presa sulla propria esistenza; a non adagiarsi nel melmoso limbo del falso
vittimismo. Il messaggio di stimolo è condensato nelle parole che danno il nome
alla composizione: Get over it (Finiscila).
Sono funzionali ad enfatizzare le parole di Henley gli interventi di
Frey e Don Felder, i quali prendono parte all’opera basandosi su un semplice
schema circolare; così facendo, ad ogni strofa corrisponda una parte
strumentale. Tale trovata rievoca un modello di botta e risposta in virtù del
quale al risentimento (strofa) segue una sollecitazione (parte strumentale).
Il primo assolo ha un basso impatto sull’economia del sound: è lineare
e coerente nella sua evoluzione; non presenta fraseggi di spicco ed è indicato
a collegare la prima strofa con il seguito.
Differente è il secondo per struttura e caratteristiche. L’ascoltatore
avverte che la portata emotiva è in aumento; è richiesto al musicista un
maggiore impegno compositivo: le note sono frementi e vibranti, aleggiano a
mezz’aria in attesa di essere rinnovate dal plettro. E’ elementare cogliere un
chiasmo sonoro: a fonemi lunghi e di media tonalità compresi tra il min. 1.36 e
1.45, ne ribattono altri brevi e acuti fino al min. 1.57.
La terza ed ultima sezione musicale si apre in maniera perentoria e
risoluta, e ne è prova l’attacco improvviso: il vigore e la tempra si avvertono
a pelle. E’ una donna colpita dalla tarantola che danza invasata in un cerchio
di uomini eccitati; un coltello che riduce a brandelli una tela; un grido nel
silenzio. Il pathos aumenta a dismisura culminando, al min 3.02 ed oltre, in
una celebrazione di acuti violenti, un rullare di tamburi ed un ultimo grido di
disapprovazione. Tirando le somme, osserviamo come le parti strumentali si
susseguono in un vivace climax ascendente che si spegne al termine della
canzone.
Tutto il resto è noia.
Griffy the Cooper
Nessun commento:
Posta un commento