martedì 24 aprile 2012

Child in time


Un celeberrimo pezzo dell’ hard rock made in UK.
Frutto del genio artistico che ha ispirato e continua ad ispirare artisti ed appassionati di musica; di una band che ha fatto proprio, come solo i grandi sono capaci, un genere nato solo pochi anni prima.
Fonte di emozioni capaci di trasportare l’ascoltatore in una dimensione ben aldilà dell’estasi.
Basta con i convenevoli:

Deep Purple - Child in time

L’ organo di John Lord è forse uno di più raffinati della storia del rock, è dietro solo ai pionieri. Solo un artista della sua stoffa sarebbe stato capace di tradurre in note, in pura e semplice lingua musicale, quel desiderio di attesa, quasi di ironica curiosità, che si crea a partire dal primo secondo della composizione. Solo Lord è riuscito a connotare di una sfumatura differente, con un diverso arrangiamento, uno spartito precedentemente utilizzato nel contesto musicale fine anni ’70. Nel frattempo, la batteria di Ian Paice si limita, con molta modestia, a battere un ritmo semplice,silenzioso e discreto, ma funzionale all’ atmosfera creata da Lord.

Dal min. 0.50 si affaccia sulla scena Ian Gillan, il quale si inserisce nel contesto musicale precedentemente creato in punta di piedi, con passo felpato, quasi non volesse fare il guastafeste. Il suo ingresso non poteva essere più tempestivo. Solo in quel preciso secondo e con quel carismatico tono di voce riesce a diventare attore della scena, come al min. 1.40, momento in cui comincia a dare  un brevissimo saggio della sua maestria con le corde vocali, ma utilizzando quell’accortezza necessaria per non esagerare. Le sue parole ruotano attorno ad un tema scottante: la guerra. Il testo si caratterizza di una forte e molto percepibile vena malinconica; come se il destino del “dolce bimbo” fosse stato scritto prima che questi venisse alla luce, per assolvere ad un solo scopo (Sweet child in time you'll see the line/The line that's drawn between the good and the bad), senza che possa tirarsi indietro (And you've not been hit by flying lead/You'd better close your eyes you'd better bow your head/Wait for the ricche)

A partire da questo momento comincerà un crescendo breve, ma straordinario, di tecnica e bravura vocale che proiettano l’ascoltatore nella imminente corale ascesa melodica; crescendo che nella sua organicità fa da preludio al culmine, al cuore della composizione, allo spannung musicale tanto desiderato: la chitarra di Ritchie Blackmore.
Il maledetto, l’eccessivo, il trasgressivo chitarrista non ha bisogno di commenti. Quando suona sembra che sussurri all’orecchio: “Ascoltatemi, comuni mortali. Siete capaci di fare altrettanto?!”. Già dalle prime battute è evidente il feeling con Paice: entrambi sono consapevoli  che adesso dovranno stupire suonando all’altezza della loro fama. Dopo il repentino cambio di ritmo della batteria al min. 3.59, Blackmore diventa inarrestabile nella sua foga alla ricerca della propria estasi, più che di quella dell’ascoltatore; ricerca che sfocia in una pura follia ed autoesaltazione di se stesso dopo il min. 4.05. Il fraseggio sulla tastiera è esasperato, dilatato e tirato fino all’ultima nota; non è concesso un momento di pausa, non è gradito; le dita scorrono rapide, impazzite; i suoni si accavallano; un attimo di respiro al min. 4.55 e poi ancora via per dare il massimo. Un connubio favoloso fra melodia e tecnica che si arresta leggermente con l’ingresso di Lord per qualche breve secondo; poi ancora Blackmore e Paice in un uragano di emozioni; ed ancora per gridare al mondo che una Fender Stratocaster può tutto; e poi stop. Pace. La tempesta è terminata.
Ritorna, come in un ciclo che potrebbe non avere mai fine, l’ organo di Lord a riportarci sulla terra. Ma la band non è ancora sazia. Cerca, questa volta, di tendere fino al limite la capacità sonora degli amplificatori, trova il giusto equilibrio tra gli strumenti e lancia il suo ultimo assalto. A partire dal min. 8.09 vieni riproposto il crescendo  vocale che culminerà al min. 9.34 in uno scrosciare di note, un  tripudio di suoni e voci amalgamate magistralmente, una sfuriata ricca di energia e grinta alla quale Blackmore imporrà il silenzio con un potente accordo.

Tutto il resto è noia.


Griffy the Cooper

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